'Io, donna magistrato, perseguitata dal mio ex, anche lui in magistratura'
Una storia di tormenti e sofferenze, di ceffoni e di insulti, prima sottovalutati, poi taciuti per vergogna, pudore, paura. Dopo il divorzio, la persecuzione diventa accanimento giudiziario
“Può succedere a tutte. Anche a una donna in toga. Le ingiustizie della giustizia sono sempre una delusione, ma vissute dall’interno lo sono due volte. I giudici farebbero bene a non dimenticare mai che la loro funzione è un servizio. Non un potere”. Sono le parole, amare, con le quali si chiude una lettera inviata da una donna al Corriere della Sera. Una lettera che racconta una storia di violenza subìta dalla donna da parte dell’ex marito. Una storia di tormenti e sofferenze, di ceffoni e di insulti, prima sottovalutati, poi taciuti per vergogna, pudore, paura. Una storia di ordinaria sopraffazione se non fosse che il persecutore è un magistrato, così come la vittima, una donna in toga. A chiarire una volta per tutte, se ce ne fosse ancora bisogno, che la violenza è trasversale al censo e al ceto, così come l’ingiustizia. Ecco cosa scrive, tra l’altro, la donna: “la mia è una storia di violenza come tante di un uomo su una donna, ma in questo caso entrambi indossiamo la toga e anche la legge è stata usata come arma più sottile e tagliente”. Così, dopo 17 anni di violenze, che si sono verificate durante il fidanzamento, ripetute durante il matrimonio e intensificate con la nascita dei due figli, senza essere mai denunciate o refertate, è arrivata la separazione e, dopo tre anni di battaglie legali, infine il divorzio. Che però non ha messo fine alle violenze ma anzi ha riacutizzato la voglia di vendetta e di sopraffazione. Scrive la donna: “La mia riservatezza è diventata un’arma ulteriore nelle sue mani, sempre attento a mostrare fuori una gentilezza affettata. Da subito, al grido 2ti distruggerò, ti metterò tutti contro”, ha negato ogni condotta violenta, accusandomi di inventare tutto”. E così la violenza non si è fermata ma si è trasformata: dai ceffoni e dagli insulti si è passati alla persecuzione legale. Un accanimento giudiziario che si materializza con l’ossessione per la casa dove la donna vive con i figli. “Una serie di giudizi che portano alla sfratto di una parte della casa. Preceduto da 15 accessi dell’ufficiale giudiziario. Ed eseguito con uno squadrone di 20 persone. Un gesto violento, eseguito con violenza. La casa viene segata a metà da un muro. Il figlio adolescente (che il padre non lo vede da 4 anni) privato di stanza e bagno e per mesi dorme nel mio letto”. La donna esausta pensa di risolvere tutto vendendo all’ex marito la sua parte di casa e traslocando. Ma non c’è niente da fare. “La persecuzione riprende. Arriva l’ingiunzione di pagamento di una grossa somma per il muro elevato in casa e gli accessi nell’immobile. È bastato modificare una parola in una clausola all’insaputa della donna e del mediatore e ora lei dovrebbe “pagare per essere stata molestata con ufficiale giudiziario e forza pubblica”. Il racconto è anonimo a tutela dei figli e vuole essere un “piccolo contributo per squarciare il velo di silenzi, paure e vergogne che avvolge le vittime di ogni forma di prevaricazione”.
Sullo sfondo anche due modi distinti di intendere la magistratura. Quello della donna che sul lavoro è “una guerriera” e che lavora da 30 anni con “dedizione e umiltà”. E quello dell’ex marito “uomo di potere, grazie alla fitta rete di relazioni con cui si è blindato”.