'Ingrata, incinta, islamica': Silvia Romano è già crocifissa. La vergogna dell'odio sui social
Non aveva nemmeno finito di scendere la scaletta dell’aereo che da Mogadiscio l’ha riportata in Italia, che centinaia di benpensanti e malscriventi si erano già scatenati sui social con illazioni e offese di ogni tipo
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Non aveva nemmeno finito di scendere la scaletta dell’aereo che da Mogadiscio l’ha riportata in Italia, che centinaia di benpensanti e malscriventi si erano già scatenati sui social con illazioni e offese di ogni tipo. È bastato vedere lo jilbab, quel lungo velo, verde come il colore dell’Islam, a incorniciarle il viso e a coprirle il corpo perché Silvia Romano da eroina si trasformasse in traditrice. O quantomeno “ingrata”, proprio come oggi l’ha bollata la prima pagina del Giornale: “Islamica e felice, Silvia l’ingrata” ha titolato il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, mentre Libero non è stato da meno gridando: “Abbiamo liberato un’islamica”. Già perché in queste ore, in cui l’hashtag Silvia Romano continua a imperversare, c’è un fatto che è chiaro ed evidente e cioè che Silvia Romano ha smesso di essere una persona, una cittadina italiana con tutti i suoi sacrosanti diritti, per diventare un simbolo da agitare nell’incessante guerra razzista e sessista che purtroppo non conosce tregua.
Il sorriso, la conversione all'Islam e l'essere donna
Neanche il tempo di festeggiarla, di accoglierla nella sua città che altri due hashtag, quello di Aisha, il suo nome islamico, e quello di Silvia Romano incinta, entravano in circolo nel catalogo infinito dell’odio da tastiera.
Che cosa si rimprovera alla giovane cooperante milanese che era in Kenya, lei specializzata in psicologia infantile, per aiutare i bambini orfani e che è stata rapita e tenuta prigioniera per oltre 18 mesi? Di sicuro il sorriso: nel conformismo ipocrita imperante un ostaggio deve essere a pezzi, deve farsi vedere distrutto, possibilmente in lacrime. E poi la conversione all’Islam, la religione più odiata, oltre che la seconda più praticata nel mondo. Un affronto per molti italiani che scambiano le frange dell’estremismo islamico per la stragrande maggioranza dei musulmani e che, evidentemente, non ricordano che la nostra Costiutuzione, quella di un Paese laico, prescrive la libertà di culto. Per cui ognuno di noi è libero di professarsi cattolico, buddista, ateo o musulmano senza che questo debba diventare materia di dibattito o, ancor peggio, di scandalo per chiunque altro.
Andrea Purgatori: 'Il problema lo avete in testa. Andate da uno bravo. E fate presto'
E poi, dulcis in fundo, Silvia è una donna. Una donna forte, come lei stessa ha ricordato nelle prime parole che ha pronunciato dopo la liberazione. E, si sa, niente è più insopportabile per molti sessisti che da giorni si sbizzarriscono in truci doppi sensi e illazioni offensive, da quella secondo la quale Silvia sia incinta a quella che la vuole vittima della sindrome di Stoccolma. Ma, credetemi, il linguaggio utilizzato è ben altro. Perché, si sa, il salto da esperto in virologia a psicologo nel magico mondo dei social lo si può fare a stretto giro di tweet. Va detto però che sono tanti, tantissimi i giornalisti e i commentatori che in queste ore stanno cercando di spegnere questa ignobile polemica. Andrea Purgatori, ad esempio, scrive: “Se il problema è il vestito, occupatevi di quelli in nero col braccio alzato. Se il problema è il riscatto, la prossima volta vi scambiamo volentieri. Se il problema c’è l’avete nella testa, andate da uno bravo. E fate presto”.
La provocazione di Myrta Merlino, le parole di Selvaggia Lucarelli
Myrta Merlino interviene così: 'Mi sfugge il senso del dibattito su #SilviaRomano, diventata Aisha. Se avessimo saputo prima della sua conversione all’#Islam, non avremmo dovuto salvarla?!?'. Tranchant come sempre Selvaggia Lucarelli: 'Si è convertita all’Islam, non dice mezza parola d’odio, sorride anziché piangere. È una donna. Non glielo perdoneranno mai”. Nell’attesa che gli odiatori trovino un altro osso da spolpare, ci sentiamo di dare un consiglio a Silvia Romano, quello cioè di stare alla larga dalla Rete. I traumi di un sequestro sono lunghi e difficili da superare. Ma quelli del cyber-bullismo non sono da meno. In quanto alla conversione, resta un fatto intimo di estrema importanza per ogni persona, un percorso che di volta in volta può essere doloroso e liberatorio e va rispettato. Sempre.