L’incredibile vittoria di Bebe Vio dopo il rischio di amputazione e di morire: dall' intervento segreto alla medaglia
“Avevo detto basta amputazioni”, confessa l'olimpionica azzurra della scherma in un lungo post. La testimonianza del chirurgo che l’ha operata
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Ha aspettato la stoccata finale per sciogliersi in un pianto liberatorio, così come ha aspettato di avere quella medaglia in mano per raccontare quanto le fosse costato poterla mettere al collo dedicandola proprio a chi le ha salvato la vita. Una vita che non le viene salvata per la prima volta visto che Bebe Vio è una donna che è abituata a strappare l’esistenza alle grinfie della malattia uscendo menomata da una meningite fulminante contratta a 11 anni. Lei è la perfetta di testimonial di ciò che può fare il progresso della medicina sull’umano che diventa superumano grazie a una volontà inflessibile.
“E pensare che mi era crollato il mondo addosso”
La 24enne di Mogliano Veneto torna in Italia dopo le Paralimpiadi di Tokyo lasciando un pensiero su Instagram dove ricorda il dramma dell'infezione che ha rischiato di farle perdere la vita. 'Se qualche settimana fa mi avessero detto 'A Tokyo vincerai due medaglie' mi sarei messa a ridere. Per quanto ero messa male consideravo già un miracolo arrivarci a Tokyo. Ma volevo arrivarci. E poi avevo anche avuto l'onore di essere nominata porta bandiera per la nostra Nazionale. Allora dovevo arrivarci a tutti i costi!”, racconta l'olimpionica azzurra della scherma.
Una nuova infezione
“Venivo da un anno di alti e bassi: il grave infortunio al gomito a settembre dell'anno scorso, dolorosissimo. I lunghi mesi di riabilitazione. Finalmente stavo meglio. Poi ad inizio anno il crollo: Infezione da stafilococco aureo. Un altro maledetto batterio, dopo il meningococco di tanti anni fa. Ero messa proprio male e quando mi hanno detto ‘se l'infezione è arrivata all'osso dobbiamo amputare l'arto’ mi è crollato il mondo addosso. Basta amputazioni! Non mi è rimasto più molto da tagliare. Poi l'operazione, l'infezione debellata, le settimane chiusa in ospedale e quando siamo usciti mancavano 119 giorni alla Paralimpiade. 'Non ce la farete mai' ci hanno detto. Ci vogliamo provare?' ci siamo chiesti. Passione, coesione, lavoro, fatica. Così - scrive ancora Bebe Vio - in pochi mesi siamo riusciti a conquistarci un oro e un argento”.
La verità tenuta nascosta
“Cos'è l'impossibile? – si chiede ancora l’atleta iridata - Mi hanno salvata le persone. Ed è a loro che devo queste vittorie. I medici ed i loro staff, che mi hanno ridato la speranza. Mauro, il mio fisioterapista che mi ha rimessa a posto ogni volta. Peppone, il preparatore che ha permesso al mio corpo di rinforzarsi e prepararsi alle sfide. I maestri della Nazionale con tutto lo staff, che mi hanno supportata e sopportata in queste ultime settimane. Le mie compagne di squadra, che non hanno mai abbassato lo sguardo. Tutti i miei amici, custodi di questa verità tenuta nascosta per mesi, che nel momento del bisogno mi hanno inondato dell'amore di cui necessitavo. Infine ringrazio la mia famiglia. La mia forza. Il mio tutto. Ogni volta un casino diverso, ma ne usciamo sempre più forti. Senza di voi non ce l'avrei mai fatta. Ora sono felice. Stanca, ma soddisfatta e felicissima...quanto n'è valsa la pena!'
La dedica al medico che l’ha salvata
Bebe Vio ringrazia così tutti medici che l’hanno aiutata ma ce n’è uno in particolare al quale è grata: il professor Riccardo Accetta, primario di Traumatologia dell'Irccs Galeazzi di Milano. L’uomo che ha eseguito quell’operazione tenuta nascosta e al quale l’atleta paralimpica ha dedicato la sua vittoria subito dopo l'oro individuale nel fioretto. È lui stesso a raccontare a La Repubblica il prodigio medico che ha salvato Beatrice e la gioia per la sua dedica. 'Devo dire che mi ha fatto molto effetto. Quello di Bebe non è un ringraziamento a una persona sola, ma a tutta la medicina, al senso del mio lavoro, all'aiutare gli altri quando possibile, al com-patire, soffrire insieme ai pazienti. È quel che facciamo sempre ma a volte succede che si curi una persona speciale che ci restituisce la voglia di lavorare, ancora più in un periodo duro come quello che abbiamo vissuto tra odio, scetticismo, aggressioni alla scienza. Le persone come Bebe rimettono al centro i valori veri, il senso della ricerca e il lavoro ospedaliero'.
Il racconto
Ad aprile Bebe Vio si presentò ad Accetta per un'infezione resistente alle cure. Dopo la visita, il dottore le diede la più cruda sentenza e il giorno dopo la campionessa era già in sala operatoria. 'Se non fossimo intervenuti subito l'infezione non curata avrebbe portato alla setticemia, e quindi anche alla morte'. Ma cosa era successo? Perché Bebe Vio è arrivata in ospedale in condizioni già così critiche? “Ha avuto una sublussazione traumatica del gomito in allenamento - precisa Accetta - e il gomito è proprio dove lei ha l'invaso del fioretto. Hanno provato a trattarla con l'antibiotico ma non è bastato perché l'infezione ha colpito l'articolazione'.
Il rischio di una nuova amputazione
Il rischio era quindi quello di non potere più gareggiare ma l’atleta non voleva fermare gli allenamenti: 'Se l'infezione fosse andata avanti avrebbe distrutto l'articolazione. Per Bebe avrebbe significato una nuova amputazione dell'arto sinistro e la fine di ogni attività sportiva. Per questo quando l'ho vista ho detto: interveniamo subito. All'inizio non voleva fermarsi, aveva gli allenamenti e un'Olimpiade da affrontare. La famiglia è stata decisiva '.
La famiglia Vio, la forza di Bebe
Quella famiglia che Bebe non smette mai di ringraziare e di considerare il segreto della sua filosofia di vita, quella vita che è sempre “una figata”. 'È una famiglia particolare, bellissima. Supportare una ragazza di 11 anni che da un momento all'altro da sana e giovane si ritrova con una disabilità gravissima senza smettere mai di sorridere e di lottare non è da tutti', racconta ancora Accetta. E così la famiglia la convinse e farsi operare, poi ci sono stati una ventina di giorni d’ospedale “e poi in 119, dalle dimissioni, si è presa l'oro. Già durante la degenza abbiamo iniziato a farle muovere il gomito per recuperare i primi movimenti e valutare le ferite: abbiamo cercato di fare delle cicatrici che non le dessero fastidio con il fioretto anche se qualche dolore deve averlo provato in gara, tanto che negli ultimi assalti si è dovuta far medicare'. L’orgoglio del chirurgo è pari al sentimento di ammirazione per questa giovane donna con una forza infinita dimostrata nel recupero: “Lei è così piccola, minuta, giovanissima, nemmeno una montagna di uomo ce l'avrebbe fatta. Ma lì è tutta questione di testa, di voglia, e lei ne ha un serbatoio inesauribile'.
Una nuova lezione di vita
Ma perché l'operazione è rimasta segreta fino alla medaglia? 'Bebe non voleva pubblicità, non cercava alibi, doveva vedersela lei, per come è, con la sua Olimpiade. Non molla ma: avrebbe perso il braccio piuttosto che lasciare la gara'. E così è stato: quattro mesi più tardi, finita la convalescenza, Bebe Vio è salita sul gradino più alto alle Paralimpiadi con quella dedica per il suo chirurgo. “Già durante la degenza abbiamo iniziato a farle muovere il gomito per recuperare i primi movimenti e valutare le ferite: abbiamo cercato di fare delle cicatrici che non le dessero fastidio con il fioretto anche se qualche dolore deve averlo provato in gara, tanto che negli ultimi assalti si è dovuta far medicare'. Ora abbiamo capito perché ha pianto tanto dopo quell’ultima stoccata.