Anoressia e bulimia: due proposte di legge per combatterle nella moda e web

Tentativo bipartisan della commissione Sanità del Senato che ha all’esame due disegni di legge. Uno presentato dalla senatrice di Forza Italia Maria Rizzotti, l’altro, firmato dalla dem Caterina Bini

di Redazione

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Abbiamo spesso scritto degli effetti devastanti di anoressia e bulimia, due facce di una subdola medaglia chiamata disturbo alimentare. Abbiamo raccontato storie di donne che sono riuscite a sconfiggerle e di altre che invece hanno lasciato vincere Ana o Mia, così vengono chiamate - come fossero amiche da vezzeggiare - queste patologie da chi ne soffre. Ma se vincono loro l’esito è un solo: la morte. Per questo oggi raccontiamo di una proposta di legge, anzi due, nate per combattere questo fenomeno.

Dati allarmanti

Del resto i dati - raccolti anche da audizioni con esperti fatte al Senato - dicono che sono «circa 2 milioni le persone che soffrono di problemi legati all’alimentazione» e che il fenomeno è «in rapido aumento con 8.500 nuovi casi all’anno». Ma soprattutto preoccupa «l’anticipazione dell’ età d’esordio in età prepubere» con casi che riguardano bambini anche di sette anni («con un’incidenza significativa di maschi in questa giovane età») ma anche ad «un incremento dei casi ad esordio tardivo» visto che «su 1.000 donne italiane fra dodici e venticinque anni si stimano tre casi di anoressia nervosa, dieci casi di bulimia nervosa e settanta casi subclinici».

Tentativo bipartisan

Nella scorsa legislatura era stato avviato un lavoro poi finito nel nulla. Oggi siamo di fronte a un tentativo bipartisan della commissione Sanità del Senato che ha all’esame due disegni di legge. Uno, adottato come testo base, è stato presentato a inizio legislatura dalla senatrice di Forza Italia Maria Rizzotti, l’altro, firmato dalla dem Caterina Bini, è stato elaborato a seguito delle audizioni svolte dalla commissione stessa. Il compito di relatore è stato affidato al senatore M5S Luigi Di Marzio.

Sanzionare e prevenire

Come precisa Il Messaggero, i due testi coincidono su un punto fondamentale: la necessità di sanzionare le agenzie pubblicitarie o di moda che si avvalgono di modelle che non presentano certificato medico o il cui certificato attesta che sono in uno stato di massa corporea di grave magrezza o di forte sottopeso. Entrambe le proposte, inoltre, prevedono politiche dedicate alla prevenzione (più sviluppate nella proposta dem) e l’istituzione della giornata di studio sui disturbi alimentari.

I due testi

La differenza riguarda invece l’approccio al tema dei due testi. Quello presentato dalla senatrice azzurra stabilisce, sin dal titolo del disegno di legge, la creazione di un nuovo reato, quello di «istigazione al ricorso a pratiche alimentari idonee a provocare l’anoressia o la bulimia». Il rischio è quello della reclusione «fino a un anno e la sanzione amministrativa da euro 10.000 a euro 50.000», con pene aumentate se l’istigazione è nei confronti di una persona minore di 14 anni o incapace di intendere e volere. Se poi a commettere il reato è una persona che soffre lei stessa di disturbi alimentari, la pena può essere commutata in un trattamento sanitario obbligatorio. «Se non viene riconosciuto il reato - argomenta la senatrice azzurra - la polizia postale ha le mani legate. Al momento, infatti, può intervenire soltanto se c’è una denuncia e se si tratta di un minorenne. La mia proposta ha un duplice scopo: aiutare le forze dell’ordine e agevolare la consapevolezza sia in chi istiga, sia in chi guarda questi siti».

Le differenze

Di parere diverso la senatrice Bini del Pd che parte dal presupposto che i cosiddetti siti “pro Ana” e “pro Mia” sono gestiti proprio da giovani che già soffrono di questa malattia e usano le pagine web per dare consigli su come mangiare sempre meno o come non farsi beccare dai genitori. C’è tuttavia un altro problema, perché ormai i blog “incriminati”, nascono e spariscono, e di fatto fungono per lo più da esca, ma la diffusione delle informazioni viene ormai veicolata più “privatamente” tramite Whatsapp o Telegram. Per tutte queste ragioni, la senatrice Bini ritiene che introdurre nel codice un reato simile sarebbe controproducente. «Istituire il reato avrebbe una sua utilità, ma nel 95% dei casi chi fa questi siti web è il primo a essere malato e non sono sicura che questo sarebbe l’approccio migliore».
Dovrebbe essere invece più facile colpire le case di moda che incitano le modelle a mangiare sempre di meno per assomigliare sempre più ad attaccapanni.

19/11/2018
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